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25 aprile 2015, Festa della Liberazione, e dei fallimenti – Fallimento della Libertà

25 aprile 2015, Festa della Liberazione, e dei fallimenti – Fallimento della Libertà

By Giuseppe

Milano, 25 Aprile

Oggi più che mai, la maggior parte degli italiani spera in una nuova Liberazione, quella dai debiti, dall’arroganza delle banche, dalle folli pretese del Fisco, dalla paura di un futuro peggiore

In Italia, dal 2009 ad oggi, sono 78.978 le imprese che mancano all’appello. Di quanto si è impoverita l’Italia e quante famiglie non hanno più il sostentamento? Pare che poco importi a chi è nella stanza dei bottoni perchè si parla tanto ma ben poco si sta facendo per uscire dal pantano. Invece di ridurre gli sprechi e incentivare gli investimenti si pensa (e si agisce) solo ad aumentare le gabelle. I “Diritti acquisiti” dei super pensionati e dei grandi privilegiati, gli orticelli delle grandi lobbies, e le “licenze di uccidere” le speranze  dei nostri giovani  ovviamente non possono essere intaccati. Pare che l’Iva possa essere portata al 25%; il settore immobiliare -motore indiscusso di una ripresa economica- è alle corde e i proprietari di casa sono solo dei limoni da spremere; chi ha un’automobile -tra carburante, pedaggi autostradali, multe ingiuste e varie- è come se ogni giorno giocasse alle slot machines… ma non vince mai. La sua speranza è che il Fisco Orco metta un fermo amministrativo sulla sua auto spendacciona…

Tra poco parte Expo Milano, il più grande spettacolo enogastronomico del mondo -con qualche “pecca” ma sarà ugualmente un grande evento. Godiamoci almeno questo (da casa, visto il costo dei biglietti d’ingresso), in attesa dei milioni di turisti che arriveranno e spenderanno 4 o 5 miliardi di Euro. Una irripetibile opportunità -con potenziale ricaduta per dopo Expo- che rischiamo di perdere se non si incentivano le imprese con un accesso al credito molto molto più agevolato.

Un tempo le borgate fervevano di vita; gli abitanti, pur con grandi sacrifici, vivevano con gli animali e i pochi prodotti che riuscivano a coltivare. Una vita dura ma libera.

Le tasse, le normative, le pastie burocratiche hanno distrutto queste comunità di contadini e di pastori. Quegli stessi turisti che prima venivano “solo come turisti” e compravano il formaggio, il burro… oggi si comprano intere borgate, le ristrutturano  e le rivendono o le usano per le loro vacanze.

Non è troppo azzardato dire che oggi l’Italia è come una di quelle borgate: bella, amena, desiderabile ma sempre più inospitale per i suoi abitanti indigeni. Oggi infatti  i “turisti” stranieri comprano (a prezzi di saldo) le nostre imprese e interi quartieri nelle più importanti città. Per non parlare della invasione silente dei Cinesi che si stanno accaparrando aree nei mercati rionali, ristoranti e osterie, centri benessere, negozi da parrucchieri e manicure, abbigliamento e riparazioni accessorie, lavanderie … e ultimamente anche la coltivazione di campi con prodotti cinesi. Siamo ormai una terra di conquista. I nuovi eserciti non usano più armi da fuoco ma armi ben più potenti: l’alta finanza e la politica. E’ difficile e molto costoso acquistare un’impresa sana e prosperosa: molto più facile se è in crisi e in difficoltà finanziaria. Questa è l’Italia.

Giuseppe Danielli
Direttore Newsfood.com

 

I DATI DELLA CRIBIS D&B, GRUPPO CRIF
Da gennaio 2009 sono 78.978 le imprese che hanno portato i libri in tribunale. I comparti in maggiore sofferenza risultano ancora le costruzioni ed il commercio. Il presidente Lombardi: «Situazione critica, imprese edili sempre in grave difficoltà»
Se si prende in considerazione il periodo che parte dal 1° gennaio 2009, il bilancio dei fallimenti è particolarmente pesante: Lombardia (17.362); Lazio (8.200) e Veneto (7.239) … nel sud 6.488 le aziende che hanno chiuso i battenti in Campania; a seguire: Sicilia (4.395); Puglia (3.736) e Calabria (1.773)… I dati sono stati estrapolati dal Centro Studi ANCE Salerno sulla base dell’analisi (pubblicata lo scorso 14 aprile) dalla Cribis D&B, società del Gruppo Crif (www.crif.it), specializzata nella business information.

In termini di analisi gli specialisti del Gruppo Crif sottolineano che la Lombardia si conferma la regione con il maggior numero di fallimenti in considerazione della grande concentrazione di aziende sul suo territorio. La Campania  si caratterizza per un numero molto elevato di fallimenti pur esprimendo un tessuto produttivo meno articolato di regioni come, solo per fare qualche esempio, Piemonte, Emilia Romagna e Toscana.

I macro settori merceologici
Secondo l’elaborazione del Gruppo Crif  a livello nazionale il comparto in maggiore sofferenza è quello delle costruzione edili che ha fatto segnare 451 fallimenti. In questo ambito rientrano anche le aziende di installazione (edilizia) con 310 chiusure e quelle di locazione immobiliare (edilizia) con 204 procedure. Subito dopo l’edilizia in senso stretto si colloca il commercio all’ingrosso di beni durevoli con 329 fallimenti. Ma non va affatto bene neanche per il commercio all’ingrosso di beni non durevoli (220). In grave difficoltà  anche ristoranti e bar (183); abbigliamento e accessori (146); alimentari/commercio al dettaglio (62); industrie del mobile/accessori per arredi (51).

Il quadro generale
«In Italia, in media, nel 2015 – scrive Crif – sono fallite 59 imprese ogni giorno (considerando le sole giornate lavorative), più di due imprese ogni ora. Dal 2009 ad oggi, inoltre, si contano 78.978 imprese che hanno portato i libri in tribunale, numeri che sottolineano le difficoltà che sta ancora attraversando il nostro tessuto imprenditoriale».
Osservando i numeri relativi al primo trimestre degli ultimi anni, risulta evidente «il costante aumento che si è registrato fino alla fine dell’anno appena concluso».
Esplicativa la sequenza dei dati: 2.202 nel primo trimestre del 2009; 2.825 nel pari periodo del 2010; 2.988 nel 2011; 3.212 nel 2012; 3.637 nel 2013; 3.823 nel 2014. Se si considera che nei primi tre mesi del 2015 i fallimenti a livello nazionale sono stati 3.803, ci si rende conto della lieve contrazione, ma anche della persistenza di un grave stato di difficoltà. Per averne una conferma basta dare un’occhiata alla costante crescita del numero di fallimenti nei quattro trimestri del 2014 (4.502 solo negli ultimi tre mesi dello scorso anno).
«Dopo un quarto trimestre del 2014 – specifica la nota del Gruppo Crif – che si è chiuso con la cifra record di 4.502 fallimenti (dato più alto per un singolo trimestre dal 2009 ad oggi) nei primi tre mesi dell’anno si è interrotta la preoccupante crescita di imprenditori che hanno visto fallire la propria attività». Tirando le somme, nel primo trimestre del 2015 i fallimenti hanno registrato (nell’intero Paese) un calo di 799 unità pari al 15,5% in meno. Per gli specialisti del Gruppo Crif è «una buona notizia dopo un 2014 che si è chiuso con ben 15.605 fallimenti, mai un dato così alto negli ultimi cinque anni». Ma è la stessa fonte analitica a precisare che rispetto allo stesso periodo del 2014 il calo dei fallimenti si è attestato allo 0,5%, «un segnale che va interpretato positivamente se si guarda il trend che si era instaurato con un costante aumento di casi di fallimento». In ogni caso vale la pena di sottolineare che rispetto al primo trimestre del 2009 «il numero di fallimenti è cresciuto del 72,7%».

IL COMMENTO
I numeri  si commentano da soli, sono il segno evidente di una crisi senza precedenti dalla quale, nonostante la politica degli annunci, non si riesce a venire fuori. A pagare il conto del drastico taglio di investimenti pubblici  è  in primo luogo l’edilizia in senso stretto (451 fallimenti solo nei primi tre mesi dell’anno in corso a livello nazionale), con gravissime ripercussioni sull’intera filiera. Ma neanche di fronte a questo persistente scenario negativo si avvertono segnali concreti di inversione di tendenza.
A tutto ciò va aggiunta l’inconsistenza dei riflessi positivi dei provvedimenti messi in atto dalla Banca Centrale Europea con il programma di Quantitative Easing. Il credit crunch è ancora una triste realtà sia al nord che nelle regioni del Mezzogiorno ed è ravvisabile un nesso preciso tra restrizione drastica dell’erogazione delle risorse creditizie e attivazione delle procedure fallimentari».

Redazione Newsfood.com

 

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