CINA-ITALIA: La colonizzazione galoppa

31 Marzo 2019
CINA-ITALIA E ITALIA-CINA
TANTA CHIAREZZA: MENO POLITICA E PIU’ CONCRETEZZA
A 19 MLD/EURO AMMONTA IL DEFICIT COMMERCIALE ITALIANO: 30 MLD PER LA CINA CONTRO 11 MLD DI EXPORT NAZIONALE
IMPORTIAMO 7 MLD DI TESSILE ABBIGLIAMENTO E 8 MLD IN STRUMENTI ELETTRONICI
IL MEMORANDUM 2019 PUNTA AD ARRIVARE A CIRCA 18 MLD DI EXPORT VERSO LA CINA
Tutti i giornali da giorni parlano, prima durante e dopo, del memorandum italiano con Xi Jinping, presidente della superRepubblica cinese in quanto segretario generale del partito comunista. Dualismo automatico già visto. Facciamo chiarezza con i numeri in primis, con alcuni chiari, noti e certi punti fermi che contraddistinguono la situazione fra Italia Cina e Cina Italia, per semplificare la famosa reciprocità.
Una reciprocità giusta, doverosa, da reclamare ma che può rimanere sulla carta o essere applicata solo attraverso i numeri e le leggi. La Cina ha una strategia nota (partita in Africa nel 1970-1975), quella di “andare fuori”. E’ notorio che la Cina promette molto ma concede poco.
Perseguono da anni un piano export che lega uomo-prodotto inteso come presidio e punto di partenza per fare business all’estero; è una colonizzazione di sistema moderno; sono più portati ad apprendere il know how di altri che cedere il proprio; stanno crescendo internamente ancora più di tutti e hanno alte disponibilità finanziarie per sostenere il deficit di molti paesi (come i 2000 mld di dollari in Usa).
E’ fondamentale saper riconoscere e governare tutte le enormi differenze tecniche-gestionali-organizzativi fra un mercato para-monopolistico, verticistico e unilaterale cinese con quello europeo/italiano liberale, aperto, concorrenziale. E’ indispensabile, tema che però riguarda la UE e diversi paesi europei, l’inadempienza conclamata dei cinesi nel rispetto degli standard richiesti dal Wto, ma anche le proprietà intellettuali.
La “via della seta”, come la chiamiamo noi, vuole essere per la Cina lo strumento per creare un unico mega-continente Euro-Indo-China-Asia utilizzando tutte le comunicazioni: strade, treni, navi, aerei, web, gasdotti. Sviluppare e ampliare quell’iniziale approccio commerciale-industriale già avviato in tanti paesi del continente europeo con acquisizioni industriali, partecipazioni, ristrutturazioni, acquisti di debiti.
La Germania fu la prima, da sola, senza nessun coinvolgimento di altri paesi, a concedere un hub potentissimo ferroviario a Duisburg per 30 treni solo cinesi alla settimana che trasportano merci cinesi in Europa, dove sono previsti già ampliamenti, capannoni di proprietà cinese. Da Duisburg già ci sono le diramazioni verso Londra e verso Madrid.
Un “sistemaferro” cinese nel nord Europa è già attivo anche nel porto di Zeebrugge in Belgio dove il colosso Cosco Shipping ha costruito diversi hub e sta gestendo le diverse proprietà: dal Pireo di Atene (acquistato nel 2016 per 1 mld/dollari) ai porti di Bilbao e Valencia. Già in vigore c’è l’accordo Cina-Visegrad (Coop 16+1) sottoscritto da tutti i paesi dell’est Europa, tutti membri “beneficiari” già della adesione all’UE per la costruzione di ferrovie veloci, hub logistici, aeroporti per alcuni miliardi di euro, a Lodz, a Belgrado, Budapest e Varsavia e in Ungheria una centrale nucleare.
Da qui poi il collegamento con i 3 mega-porti navali in costruzione in Lettonia, via Minsk e Romania, fino alla capitale Chengdu in Cina. Altri investimenti cinesi sono stati fatti nella più grande società di scommesse finlandese Supercell (cica 7 mld/euro per acquisto), nella Kuka leader nella robotica e per acquisire il 49% dell’inglese Global Switch. Acquistate poi la Avalon e la Skyscanner, il tutto per diversi mld di euro. Tutto questo, già contrattualizzato, viene costruito per l’80% dei main contractors cinesi!
Dal 2012 al 2018 la Cina ha già riempito il carrello della spesa fuori dall’Italia. L’obiettivo ( una colonizzazione moderna) è la creazione di un supercontinente commerciale geopolitico Euro-Asiatico a trazione cinese. Quasi tutti i container dalla Cina tornano in patria vuoti. Il Regno Unito è il paese UE che ha maggiormente goduto degli investimenti cinesi, seguito dalla Germania con il 20% del totale, quindi Italia e Francia sul 10%.
Una unica “viaNordEuropa” taglia fuori il sud Europa: occorre che l’Europa insieme (non tavolini a 2 o a 4) definisca i vari contratti, ma con trasparenza, tutti davanti a tutti. Niente furbetti transalpini. Seppur in calo, nel 2018, sono stati 30-32 mld/euro gli investimenti cinesi in Europa, solo 7 quelli dell’Europa in Cina con un fortissimo disavanzo commerciale nello stesso anno per l’Europa: circa 30/35 mld di euro netti a vantaggio delle imprese cinesi e tutti i paesi europei presentano un disavanzo passivo.
In Italia, la Cina, ovvero i colossi industriali parastatali e fondi sovrani, è già presente in diverse imprese private di spicco (Pirelli 100%, Ansaldo 40%, Inter, Milan, Cdp Reti Energia 35%, Fiat Chrysler, Prismian, Enel, Eni, Telecom, Saipem) e ha acquisito la quota del 40% della società del porto di Vado Ligure. In Italia i cinesi, a parte il calcio, hanno trovato facile accesso nel settore industriale tecnologico, real estate e nel settore dei trasporti e meccatronica-robotica. Settori anche “strategici” per il paese spesso svenduti dagli industriali privati italiani.
I cinesi hanno speso in Italia negli ultimi 7-8 anni circa 15 mld/euro, di cui 3,5 nel settore bancario e assicurativo italiano (Mps, Unicredit, Mediobanca, Intesa, Generali). Quindi molti accordi, contratti, acquisizioni sono già state fatte da anni. Ora sarebbe opportuno che – ben più importante delle quote finanziare o dei valori investiti – si iniziasse a parlare veramente di equità degli scambi, di possibilità di export di tutti i prodotti, di equilibrio della bilancia dei pagamenti. Non sediamoci per fare la questua.
Per questo che, se i cinesi chiedono certi know how italiani è giusto che l’Italia avvii accordi – con tutte le cautele e garanzie scritte, coperture e assicurazioni politiche – direttamente con Xi Jinping, come hanno già fatto altri paesi europei, soprattutto in quei settori e campi dove la UE ha sempre scelto di non considerarli comunitari (vedere gli accordi-contratti già fatti dai governi inglese, francese, belga e tedesco e altri da anni).
E’ impossibile modificare il rapporto economico degli investimenti fra i due paesi, ma sicuramente la bilancia commerciale annuale deve diventare più equilibrata, omogenea. Per questo che accordi separati, o bilaterali, partendo dal rispetto della proprietà intellettuale e dai brevetti industriali, devono trovare fattori di gestione e produzione incrociati, non a senso unico, senza svendere i gioielli di famiglia. Su questo aspetto la “precauzione” cinese deve essere il anche il dogma italiano richiamando sempre il rispetto di tutte le norme europee in essere, nessuna esclusa.
Giampietro Comolli
Redazione Newsfood.com
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Giampietro Comolli
Economista Agronomo Enologo Giornalista
Libero Docente Distretti Produttivi-Turistici
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Editorialista Newsfood.com
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