Più difficile assumere gli extracomunitari con permesso elettronico
27 Novembre 2007
Da circa un anno è entrato in funzione il permesso di soggiorno elettronico, che, rispetto al collega cartaceo, presenta il vantaggio di memorizzare un numero maggiore di informazioni,
quali i dati anagrafici dell’immigrato e del datore di lavoro, la fotografia, il luogo di lavoro, la data di inizio attività, i dati biometrici (come le impronte digitale) e la frontiera
per il rimpatrio.
C’è, però, un dato che dal permesso elettronico non si può leggere: il motivo del soggiorno.
In realtà, il permesso registra questo dato, ma lo colloca nel microchip e nella banda a memoria ottica, con il risultato che solo alcune apparecchiature specifiche (quali quelle delle
Forze dell’Ordine) riescono a leggerlo.
Com’è evidente, l’impossibilità di scoprire a prima vista se lo straniero è giunto in Italia per studio, per famiglia o per lavoro presenta alcune gravi ripercussioni sui
consulenti del lavoro e sui datori di lavoro, che, non conoscendo questo dato, non possono valutare la possibilità dell’assunzione.
Per far fronte a questo problema, l’unica soluzione attualmente presente è la richiesta di informazioni alla Questura, con conseguente perdita di tempo dovuta alla ricerca, che si
ripercuote sulle liste d’attesa.
A prima vista, dunque, il problema potrebbe essere risolto mediante un’autocertificazione, effettuata dall’extracomunitario per attestare il motivo del suo ingresso in Italia. Com’è
ovvio, però, anche questo procedimento potrebbe generare altri rischi.