La Carta Internazionale per la Gestione dei disastri attivata in aiuto al Bangladesh
26 Novembre 2007
Il 16 novembre, dopo che il ciclone tropicale Sidr si era abbattuto sul Bangladesh e sul Bengala occidentale, in India, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari dello Spazio
Extra-Atmosferico ha richiesto l’aiuto dei satelliti in base alla Carta Internazionale per la Gestione dei disastri.
Che cosa è stato fatto? – Ai satelliti si chiedeva di fornire dati sull’impatto di Sidr. Sono state prodotte due mappe di diversa natura. La prima è stata prodotta da
UNOSAT, il programma della Nazioni Unite che ha l’obiettivo di fornire la mappe satellitari agli operatori umanitari. Si tratta di una mappa dettagliata delle condizioni dell’area precedenti al
ciclone ricavata dalle osservazioni di due satelliti della NASA, Terra e Aqua, ai primi di maggio dell’anno in corso.
La seconda, invece, è una mappa prodotta dallo ZKI (Centro per le informazioni satellitari in caso di Crisi), presso il Centro Aerospaziale Tedesco (DLR). È una mappa centrata
sulle regioni di Baribal, Khulna e Chittagong, che sono le regioni dove maggiori sono stati i danni e le perdite, causati da venti fino 240 km/h e da un’onda di marea di circa cinque metri.
Questa seconda mappa è stata ricavata usando osservazioni specifiche nei giorni immediatamente successivi alla richiesta dei satelliti TerraSAR-X del DLR e SPOT4 del CNES. Sono stati
utilizzati anche dati di archivio del satellite Landsat-7, del Centro Geologico degli Stati Uniti (USGS, US Geological Survey).
La Carta Internazionale per la Gestione dei disastri è un patto nato nel 2000 grazie all’ESA e all’Agenzia Spaziale Francese (CNES). Negli anni hanno poi aderito, tra le altre, le
agenzie spaziali di Canada (CSA), India (ISRO), USA (NOAA), Argentina (CONAE), Giappone (JAXA), Cina (CNSA) e la US Geological Survey (USGS)
In effetti si intuisce che l’organizzazione che ha portato a questi risultati debba essere complessa. Che genere di lavoro sottende la fornitura di queste mappe?
Anche se sono ormai diffuse le immagini della Terra dallo spazio, basti pensare al successo popolare di un prodotto gratuito come GoogleEarth, la maggior parte delle osservazioni da satellite
non sono immediate da comprendere. Spesso si tratta di dati ottenuti utilizzando tecniche radar o altre tecniche che non forniscono immagini di pronto utilizzo.
Il senso dell’accordo internazionale voluto dall’ESA e dal CNES risiede anche in questo: i servizi offerti includono non solo i dati gratuiti, ma anche la lavorazione sui dati e la loro
interpretazione. In pratica è una specie di servizio di mediazione che offre alle protezioni civili prodotti da usare subito. Per cui un’immagine radar di un’area colpita da piogge o da
inondazioni viene tradotta in modo da mettere in evidenza le zone allagate, le strade percorribili e tutte le informazioni utili a chi deve intervenire sul territorio.
Spesso queste informazioni sono ottenibili per confronto con altre osservazioni della stessa zona effettuate prima del disastro. Sono allora utili i dati ricavati dagli archivi delle
osservazioni del nostro pianeta. Da questo punto di vista la parte del leone viene giocata dal Centro dell’ESA per le Osservazioni della Terra, ESRIN, che sorge a Frascati nei pressi di Roma, e
che conserva e aggiorna costantemente il più esteso archivio di dati satellitari, quelli dell’ESA (ERS-1, ERS-2, Envisat), ma anche di oltre 20 satelliti di altre agenzie spaziali.
Dalla sua fondazione l’accordo è stato fatto valere oltre 150 volte. Questo sembra essere una conferma che colma una necessità reale. Che cosa è possibile prevedere per
il futuro?
L’ESA lavora perché l’utilizzo dello spazio per la sicurezza e il monitoraggio ambientale si estenda. A livello europeo l’iniziativa GMES che ha appunto queste finalità, è
uno dei pilastri della politica spaziale dell’Unione Europea. Dal punto di vista spaziale, le prospettive sono principalmente due: nuovi satelliti per le osservazioni scientifiche del pianeta,
ciascuno dei quali dedicato a uno scopo preciso; un certo numero di satelliti di supporto alle applicazioni, in grado di erogare servizi utili.
Una dei servizi che l’ESA ha varato in questo contesto è RESPOND, che ha come finalità proprio il miglioramento dei meccanismi della fornitura della mappe in casi come quello di
cui stiamo parlando. È un programma che si propone di rispondere nel modo più efficiente alle necessità concrete delle organizzazioni umanitarie, favorendo il loro accesso
a mappe e a dati relativi al territorio colpito, come per esempio la densità di popolazione o la rete delle infrastrutture esistenti.
Oltre alla gestione dei disastri, però, è chiaro che i satelliti possono essere di grande aiuto anche nella comprensione scientifica alla base dei fenomeni atmosferici, come i
cicloni tropicali stessi. Da questo punto di vista è possibile arrivare a prevederli?
Fenomeni come i cicloni, che si formano in pieno oceano e che poi rapidamente si spostano, sono facilmente osservabili dallo spazio a partire dalla loro formazione. Sidr, per esempio, era stato
identificato come ciclone tropicale fin dall’11 novembre, circa quattro giorni prima che si abbattesse sul Bangladesh. Ed è stato seguito giorno dopo giorno da una rete satellitare.
Allo stesso modo è relativamente semplice prevedere l’avvicinarsi della stagione dei cicloni e la loro frequenza. Sappiamo quali sono le condizioni dell’oceano e dell’atmosfera
favorevoli al loro sviluppo e sappiamo in quali stagioni dell’anno tali condizioni si verificano. Tuttavia gli stati di allerta possono essere dati sempre con pochi giorni di anticipo.
È per questo che, per diminuire in modo drastico le vittime e i danni causati da disastri naturali, occorre prevenirli meglio. Per farlo occorre diffondere e rafforzare il concetto di
sviluppo sostenibile, fine alle sue conseguenze più significative. Sempre nel caso di Sidr e del Bangladesh, oltre 10 milioni di persone sono state interessate dal ciclone, ma solo poco
più di 600 mila hanno trovato rifugio attraverso l’evacuazione. Sono aree molto antropizzate e a rischio.
Per fare un esempio più vicino all’Italia, è del tutto inutile mettere a punto un sistema per la previsione delle eruzioni vulcaniche e tollerare, al tempo stesso, un abusivismo
diffuso sulle pendici del Vesuvio.