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Comunità di Filiera: i nuovi orizzonti della Tecnologia Alimentare

Claudio Peri con moglie e sei nipoti

Messaggio di speranza: Sintesi di una conversazione via email di un nonno e un altro nonno – Opportunità di lavoro per giovani Tecnologi Alimentari attraverso la Comunità di Filiera del Prof. Claudio Peri. Rinascita di Valori e Sostenibilità per il comparto agroalimentare e l’ambiente in cui viviamo  in progressivo degrado.

Questa conversazione nasce da una mia lettera all’amico Prof. Claudio Peri (vedi in calce all’articolo)*
Giuseppe Danielli,
Direttore e Fondatore Newsfood.com

Claudio in questi ultimi anni stiamo vivendo  in un clima di generale pessimismo e apatia, c’è ancora speranza per un Rinascimento dei Valori dell’uomo oppure è una lotta inutile che si ripete senza fine come quella della canzone di Gino Paoli, dei quattro amici al bar?

Prof. Claudio Peri, decano emerito dei Tecnologi Alimentari,  ideatore e promotore della Comunità di Filiera

 

Caro Giuseppe, hai proprio ragione: il nostro Paese, come l’Europa e il mondo intero, attraversa un periodo di grandi incertezze sul piano economico, politico, morale. Anch’io vorrei mettere un po’ di ordine nelle idee e tenere a bada i tumulti del cuore. Mi sono occupato per tutta la vita delle produzioni alimentari e delle prospettive professionali dei giovani in questo settore in cui si stanno accumulando, come in ogni altro settore, tensioni e incertezze. Però – lo crederesti? –  mi pare che ci siano idee e opportunità sulle quali si possono fondare speranze per un miglioramento della situazione e anche per ritrovare un po’ di equilibrio emotivo.

 

Mi pare che anche nel settore alimentare ritroviamo questa situazione  di dubbi e incertezze, di fobie, di rifiuto della tecnologia,  e la percezione delle frodi e dei rischi;  da esimio decano dei Tecnologi Alimentari e studioso della materia, quale è la situazione rapportata alle condizioni di igiene e salute rispetto agli anni dell’Italia rurale del secolo scorso? Quali le speranze?

Ti prego di seguirmi nel mio itinerario di esperienze e di pensieri. Vivo a Milano e certo questo fatto rappresenta un elemento importante per la mia percezione della realtà. Quando entro con mia moglie nel supermercato nel quale facciamo la spesa alimentare non cesso di stupirmi per l’abbondanza, la varietà e la qualità degli alimenti che vengono messi a disposizione anche delle capacità di spesa più modeste. Avendo una lunga esperienza dei problemi alimentari ricordo cosa si trovava in un supermercato 50 anni fa: minore abbondanza e varietà di cibo a costi più elevati e con garanzie igieniche nettamente inferiori. Mi dico, e credo che si tratti di un’assunzione ragionevole, che la Tecnologia Alimentare, cioè la disciplina di cui mi sono occupato educando generazioni di studenti, ha avuto un ruolo importante in questo risultato. Poi vado a fare una visita ai professori di Scienze e Tecnologie Alimentari della Università di Milano. Molti professori di oggi sono stati miei allievi e, ti dico la verità, sono orgoglioso per la loro bravura, per la loro dedizione alla conoscenza e alla didattica. 
Quando arrivai a Milano nel 1970 non c’era nulla di tutto questo e credo che si sia trattato di un altro fatto importante. I Tecnologi Alimentari, non solo hanno una conoscenza scientifica approfondita del loro mestiere, ma hanno anche un codice  etico che insieme mettemmo a punto più di 30 anni fa e che da allora è riferimento stabile dei professionisti di questa area. Ma c’è anche molto di nuovo che è diventato tema di studio e formazione negli anni recenti. Esso riguarda la scoperta delle proprietà salutistiche di molti cibi naturali, l’accresciuta sensibilità per i temi della biodiversità, dell’ambiente, del benessere animale, degli sprechi alimentari. Nel 2001, lo ricordo come un punto di svolta della mia materia e anche della mia vita, organizzai a Firenze un Congresso Internazionale che aveva come titolo “Food Safety, Food Quality, Food Ethics”. I temi che trattammo in quel congresso sono letteralmente “esplosi” nella cultura alimentare ed EXPO 2015, questo straordinario evento milanese e mondiale, era collegato da un filo diretto a quel lontano congresso di Firenze. Poi c’è molto altro. Ti prego di pensare soltanto al movimento di Slow Food, questa straordinaria intuizione e iniziativa di Carlin Petrini. Accanto alle nostre preoccupazioni scientifiche e tecniche, Slow Food e l’Università di Pollenzo hanno aperto la finestra sui temi psicologici, storici, sociali, della cultura gastronomica. 
Anche questo è un vanto della cultura italiana del cibo.

 

Quindi, Claudio, per te va tutto bene? Non stai facendo un quadro un po’ troppo idilliaco del comparto agroalimentare? E la globalizzazione, cioè l’omogeneizzazione delle culture e la scomparsa delle tradizioni alimentari? E la disuguaglianza dell’accesso al cibo nel mondo fra chi spreca il superfluo e chi non riesce a raggiungere la soglia del necessario? E le frodi alimentari? E la perdita di fertilità dei suoli? E la perdita di biodiversità? E l’eccessivo uso di pesticidi? E l’uso della ingegneria genetica come strumento di dominio e monopolio sulle grandi commodities alimentari? E la perdita di visibilità e trasparenza delle filiere alimentari?

Hai ragione, caro Giuseppe, ci sono molti problemi sul tappeto e ne sono acutamente consapevole. Non volevo dire che la situazione è la migliore possibile, ma solo che il bicchiere è mezzo pieno e non mezzo vuoto. E aggiungo che i temi che hai appena elencato rappresentano altrettante sfide per i Tecnologi Alimentari del futuro. E’ di questi temi che mi occupo con una certa continuità da quando ho lasciato l’Università e sono diventato un pensionato libero, ma sempre impegnato nei problemi del mio settore. Ho continuato ad organizzare dibattiti e congressi sui temi del futuro dell’alimentazione; per non perdere il contatto con la realtà globale ne ho organizzati in California e  in Africa oltre che in Italia. Mi sono fatto l’idea che le prospettive del futuro sono ancora più interessanti di quelle che ho vissuto nel passato.

 

Pensi dunque che i giovani abbiano prospettive professionali interessanti per questo settore?

Più che interessanti, ma voglio parlarti del tema che da due o tre anni mi appassiona e mi stimola ad iniziative concrete. E’ il tema delle Comunità di Filiera. Si tratta di un modello organizzativo delle filiere alimentari che si contrappone al modello delle multinazionali e delle grandi commodities per valorizzare produzioni locali di eccellenza legandosi a tradizioni, biodiversità, aggregati sociali del territorio. E’ basato sull’uso intelligente ed efficace dei nuovi strumenti della comunicazione per creare occasioni di profitto anche a livello della piccola scala produttiva, per rendere la filiera trasparente al consumatore finale, per ripartire equamente il valore aggiunto fra tutti gli operatori della filiera, per proteggere le tradizioni e l’approccio artigianale all’eccellenza alimentare. Per di più, il modello delle Comunità di Filiera è perfettamente applicabile in paesi ad alto livello di reddito come la California e a paesi a basso livello di reddito e grande potenzialità produttiva come molti paesi dell’Africa. Ti dirò – si tratta di una anticipazione inedita – che ho cominciato a progettare Comunità di Filiera in alcune regioni italiane, in particolare in Toscana, in Basilicata e, con grande impegno, in alcune zone terremotate del Lazio. Comunità di Filiera come modello per nuove generazioni di operatori e di esperti. Vi sono coinvolti operatori giovani e vecchi, ma tutti motivati dall’esigenza di trovare risposte nuove alle nuove sfide del consumo alimentare.

 

Mi sembra una notizia molto interessante, dovrebbe piacere ai giovani che si occupano di scienze e tecnologie alimentari, ma soprattutto anche a tutti coloro che stanno cercando soluzioni al degrado della nostra società

Lo credo anch’io, anzi ne sono sicuro. Se avessi 50 anni di meno di quelli che ho vorrei diventare promotore delle Comunità di Filiera perché si tratta di un modello gratificante anche sul piano culturale e umano, oltre che su quello tecnico ed economico. E se fossi un giovane professore universitario, come ero 50 anni fa, vorrei prospettare ai giovani più motivati e più dotati due futuri possibili: uno è quello della ricerca multidisciplinare, che era una prospettiva affascinante anche 50 anni fa. L’altro scenario invece è nuovo e prospetta ai giovani un futuro da imprenditori, fondatori e leader di Comunità di Filiera. E’ un modello organizzativo di validità globale e di cui l’Italia potrebbe proporsi al mondo come prototipo sperimentale in ragione delle nostre insuperabili tradizioni alimentari. Ma della Comunità di Filiera potremo parlare un’altra volta, se ti interessa.

 

 

(Giuseppe Danielli a Claudio Peri)

Prima di tutto ti ringrazio  per la tua stima per aver risposto al mio appello. Lo hai fatto in modo egregio e schietto come un  buon olio di una volta, e quel poco che ancora si continua a fare con le stesse piante e la stessa passione, ma in un ambiente che si impoverisce  gradualmente, contaminato dalla perdita dei valori, quelli veri nei quali siamo sempre in meno rimasti a credere che possano essere  i modelli tradizionali da perseguire e conservare.
M hai fornito delle motivazioni per vedere il bicchiere un po’ più pieno, ma sopratutto hai dato dei “mattoncini” di positività da trasmettere a tutti coloro che vorrebbero veramente costruire qualcosa di positivo; le tue risposte rafforzano la perseveranza di coloro che hanno a cuore il futuro dei loro figli e nipoti; tutti gli eroi quotidiani che nell’ombra continuano a dedicarsi alla Famiglia e al loro prossimo, nonostante le negatività e le difficoltà che oggi impastoiano i cittadini onesti e premiano i furbi; tutti quelli coi capelli bianchi ai quali hanno tolto la fede (calcistica, di gonfalone, politica, identitaria del luogo natio, …); soprattutto per riaccendere la speranza e dare la forza per andare avanti. I nostri padri hanno superato guerre, fame, stenti, genocidi… sono certo che ce la faremo anche noi a ri-vedere un orizzonte migliore…  ma servono tanti mattoncini ai nostri ragazzi affinché possano ri-costruire un loro solido futuro!

PS: Comunità di Filiera? Non so cosa sia in pratica ma sicuramente è un mattoncino prezioso da conoscere e far conoscere. Ne parliamo a Todi? Magari assaggiando il tuo olio extravergine?
Per ora ti auguro un Buon Natale

Giuseppe
(Giuseppe Danielli)

(ecco il contenuto della prima email inviata al prof. Claudio Peri)

*Caro Claudio, non sono catastrofista ma semplicemente sto registrando quello che mi pare di vedere stia succedendo. Da un po’ di anni mi sento come un indiano delle praterie americane: sta arrivando (…è già arrivato e prosegue imperterrito la sua corsa…) il cavallo d’acciaio. Pur avendo tutte le ragioni di questo mondo, non riusciremo mai a fermare il “progresso” perchè noi abbiamo l’arco e le frecce e loro i winchester … e sono tanti, tanti; e hanno fame -non come noi di cibo- loro sono affamati di oro, di potere…).

Per noi i bisonti sono una forma di sostentamento continuo che non andrebbe mai ad esaurimento (oggi la chiamano: sostenibilità). Per loro è un giacimento di carne da sfruttare, come un filone di oro. Esaurito quello si scava da un’altra parte. Poco (nulla) importa se gli indigeni territoriali resteranno senza cibo).

Gli indiani rimasti sono ormai nelle riserve, abbruttito dall’ozio e dall’alcool. E’ sparito quel mondo ma è subentrata una nuova società in continua evoluzione ad un ritmo sempre più galoppante. Anche io ora mi fermo perchè i miei capelli bianchi mi dicono che il futuro che verrà è molto lontano, troppo lontano, dalle praterie che ho percorso a caccia di bufali col mio arco e le mie frecce. Sto arroccato sulle mie posizioni, come l’ultimo dei mohicani.

Sarò un sognatore ma -invece di essere costretto a dover correre in questa folle corsa quotidiana- mi piacerebbe poter essere seduto nel mio wigwam davanti al fuoco e fumare il mio calumet insieme ai saggi della tribù.

Mi aiuti a trovare un barlume di speranza per i nostri giovani? Per i nostri nipotini?

Ti allego alcune domande alle quali ti chiedo di dare una tua genuina risposta.

Giuseppe
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CLAUDIO PERI – classe 1938, nato a Perugia e cresciuto a Todi e dintorni fino a 18 anni. Ha svolto i suoi studi a Perugia, poi a Bruxelles (Belgio) e a Davis (California). Dal 1970 al 2004 è stato professore ordinario all’Università di Milano e considerato uno dei maggiori esperti in Europa di Scienze e Tecnologie Alimentari.  Da quando è in pensione si dedica con passione all’hobby dell’olivo e dell’olio extra-vergine di oliva con una minuscola oliveta proprio alle porte di Todi. Vive a Milano, ma scappa a Todi appena può:
“Per me Todi significa l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza con i miei fratelli e i miei genitori e poi l’incontro con Teresa, l’amore della mia vita. A Todi ci incontriamo ogni anno con le famiglie dei nostri figli Francesco, Giovanni e Adele. In Todi sono le fondamenta di tutto ciò che sono, penso, vivo e amo …”
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Cover: Claudio Peri con Teresa e i sei nipotini fra gli olivi di Todi

 

Redazione Newsfood.com
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