Vini Vinitaly Consorzi… occorre un PNRR anche per il vino più Local che Global
Vino italiano fra Pnrr e crisi, fra Consorzi obsoleti e identità delle denominazioni. Più che Euro occorrono riforme e transizione enoica. Vinum nomen: una tipologia e un nome per semplificare
Newsfood.com, 30 aprile 2022
Vini Vinitaly Consorzi… occorre un PNRR anche per il vino più Local che Global
Vino italiano fra Pnrr e crisi, fra Consorzi obsoleti e identità delle denominazioni. Più che Euro occorrono riforme e transizione enoica. Vinum nomen: una tipologia e un nome per semplificare e aiutare consumatore neofito internazionale. Ricerca nuovi mercati. A Vinitaly, consorzi di tutela delle comparse nella comunicazione, segno di un cambiamento voluto o casuale o imposto? Per esempio due vini storici antichissimi …..oggetto di pericolosa banalizzare e superficialità
Dopo due anni Vinitaly riapre i battenti. Novità organizzative sulla buona strada: più BtoB e meno BtoC e CtoC. Ma bisogna fare molto di più: ancora meno priorità al plateatico e all’effimero della visibilità e ai banchetti di cibo…. più peso specifico in termini di “nazione”, di stile italiano, di vino integrato al territorio, più “distrettualità” e più formazione, conoscenza. occorre attrarre nuovi mercati e nuovi consumatori, non i vecchi, quelli di 50 anni fa. Anche il mondo della comunicazione del vino è cambiata e cambierà di più. il consumatore del futuro sarà più semplice, più diretto, più oculato, più dipendente dell’insieme dell’offerta, la multilateralità e la multifunzionalità. Da anni, come CevesUni e come Ovse partecipiamo a diversi incontri, convegni, sessioni, soprattutto insieme e a nome e per conto di distributori, esportatori, importatori, gruppi di acquisto, associazioni estere di ristoranti, horeca, insegne sul mercato e con loro poi dialoghiamo per un anno intero in funzione del portafoglio etichette, valutazioni marchi, selezione nuovi prodotti, consigli e proposte. Anche questi operatori economici, cioè tutti gli intermediari escluso i consumatori diretti, dovranno essere in linea con i consumatori di Singapore come di Città del Capo, dell’Angola come di Casablanca, di Tiblisi e di Montreal. Anche il consumatore italiano sta cambiando: basta studiare e analizzare i dati sugli acquisti dei millennials con la generazione zero e gli ultra 65enni per dover farsi delle domande e porsi risposte. A meno che la maggior parte delle 35.000 imprese italiane del vino più performanti pensino di chiudere a breve.
A Vinitaly sono mancati soprattutto due fattori di grande valore: convegni brevi sulla formazione conoscenza e informazione culturale e didattica di alcuni vini e soprattutto, assenti, i consorzi di tutela, per mancanza di progetti e scelte precise, di finanziamenti o per bilanci, o di direttori con gli attributi e la professionalità in linea con i cambiamenti? Al di là di qualche cartellone o di qualche logo di riferimento sugli spazi acquistati omessi a disposizione dalle Regioni o come contorno e completamento degli spazi delle impese, sono mancati convegni, incontri, progetti, inviti, ospiti. Ricordo gli anni 1995-1999, quando il consorzio Franciacorta e il consorzio Asti (NBA: all’epoca 3/4 milioni di bottiglie solo sul mercato italiano e 80 milioni di bottiglie destinate all’estero, rispettivamente!), con le regioni Piemonte e Lombardia e tre Ministeri nazionali , presero un padiglione intero, davanti all’ingresso Cangrande, per sottolineare al mondo dei presenti dentro la fiera, le due docg, i diversi metodi produttivi, l’importanza del mercato nazionale e internazionale, le differenze tipologiche e di consumo, la destagionalizzazione, le zonazioni dei “distretti” vigna per vigna, le azioni promozionali delle strade del vino, il martellamento di territorio-vino-denominazione ….e quanto altro servisse ospitando comunicatori mondiali, giornalisti esteri. Quindi crisi dei consorzi anche nella promozione, nella capacità di proposte e di scelte, nella disponibilità di fondi. Eppure oggi il “distretto produttivo” nel suo insieme di comparti e settori e soprattutto di aziende piccole territoriali con le vigne è la carta vincente anche rispetto a concorrenti agguerriti con idee fulminanti come Francia e Spagna, entrambe molto simboleggiate e trainate solo dai grandi nomi e dai grandi marchi. L’Italia ha nell’artigianalità del vino e nella integrazione produttiva glocal distrettuale, la marcia in più, ma…..con scelte molto precise in termine di messaggio “commerciale”. E’ brutale ma è così.
Per il vino si deve palare solo di Pnrr-Local, cioè deve essere un fattore di transizione-riforma prima che di soldi, anche se poi servano eccome! La inflazione che non finirà subito, la diminuzione del potere d’acquisto in molti paesi, i costi fissi aziendali e extraziendali non coperti dagli interventi pubblici… sono problemi immediati. Ma il problema, può essere stimolo al cambiamento. Penso alla semplificazione di consorzi e di DO: basta con gli osanna sul primato dei volumi e delle quantità in Italia! I dati in possesso di Ovse-CevesUni da alcuni anni sono chiari: i prezzi devono essere in linea con le disponibilità dell’acquirente e le informazioni in etichetta devono semplificare la vita. Il futuro è per chi saprà puntare su denominazione-vino-tipologia, su distretti multilaterali, su proposte polifunzionali legate al vino e al cibo. Certamente tutto è inutile se si fanno errori o danni come ultimamente è capitato di leggere. Possibile che a 55 anni (era il 1967) dal riconoscimento fra i primi disciplinari nazionali dei vini, già vino di pregio dal 1933, diventato nel 1990-1994 il vino più bevuto della “Milano da bere”, il Gutturnio Doc di Piacenza, venga ancora scritto “gotturnio” in ambito di cartelloni, filmati proiettati e realizzati da enti pubblici nazionali e regionali? Possibile che si senta parlare di vini “spumanti” o “passiti” senza distinzioni e chiarezza da autorevoli produttori per avvalorare scelte individuali e non collettive, fornendo un messaggio volutamente annebbiato al consumatore italiano, peggio ancora straniero, per vendere lucciole per lanterne? C’è una bella differenza da Gutturnio Doc a gotturnio e fra Zibibbo Doc e passito liquoroso comune. Piacenza ha il suo “re enoico” in un Gutturnio vivace ideale per la cucina saporita e ricca degli insaccati Dop e Pantelleria ha nel suo Zibibbo Doc uno dei passiti-bio naturali autentico e unico, l’unico ad avere il riconoscimento Unesco dell’”alberello pantesco” solo proprio sull’isola di Pantelleria e basta, non a Trapani o a Palermo dove si producono altre tipologie di vini ottimi. Non è consentita nessuna appropriazione indebita. Per questo occorre una comunicazione e valorizzazione vincolata per tutte del DOCG, almeno, con una identità unitaria: denominazione-tipologia-vino. Una nota pubblicità di 60 anni fa diceva “ Basta la Parola”. E siamo ancora a quella strategia. Gutturnio Piacenza e Zibibbo Pantelleria, e basta!
Giampietro Comolli
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Giampietro Comolli
Giampietro Comolli
Economista Agronomo Enologo Giornalista
Libero Docente Distretti Produttivi-Turistici
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Editorialista Newsfood.com
Economia, Food&Beverage, Gusturismo
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