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Sale marino italiano diventa francese ? Un patrimonio che deve restare italiano

Sale marino italiano diventa francese ? Un patrimonio che deve restare italiano

By Giuseppe

Sale marino italiano diventa francese ? Un patrimonio nazionale unico e strategico deve restare italiano. Perché non creare un grande Distretto Produttivo del Sale Alimentare nel Sud Italia? Un bene pubblico motore dello sviluppo economico. Lo chiediamo ad un esperto di lunga data come Giampietro Comolli

Grande fermento, almeno sulle testate giornalistiche pugliesi e siciliane, a proposito delle saline di trapani, Palermo, Volterra, Sant’Antioco in Sardegna, Volterra in Toscana. Una attività stampa diffusa partendo da situazioni economiche difficili che coinvolgono imprese private, concessioni governative di lunga data, banche creditrici, depositanti di fideiussioni.

Coinvolte le imprese più grandi d’Italia, molte se non la maggioranza nel sud Italia. “Il sale alimentare – dice Giampietro Comolli esperto nella tutela dei prodotti Dop e Igp, economista e docente sui distretti produttivi agroalimentari italiani – può essere un motore, un veicolo per lo sviluppo dell’economia del Sud Italia. Se ogni sito estrattivo diventasse un polo integrato, un grande distretto diffuso, si creerebbe una economia circolare di centinaia di milioni di euro di fatturato annuo fra l’Adriatico e il Tirreno, fra Margherita di Savoia e Volterra.”  Senza entrare nel merito di situazioni e problemi finanziari che coinvolgono società importanti come Atisale e Sosalt (come apprendiamo dalla stampa pugliese e dalla Gazzetta del Mezzogiorno) che Comolli, in primis, non vuole neanche sentire parlare e non vuol entrare nel merito senza certezze, la stampa riporta da tempo i pesanti crediti che vantano il Monte dei Paschi e la Banca Nazionale del Lavoro.

Chiediamo: c’è un rischio fallimento di imprese italiane di pregio che hanno in mano concessioni del Governo italiano ancora per 10-20 anni?

Che garanzia hanno le maestranze attuali e si può ipotizzare uno sviluppo? Comolli è chiaro:
Oggetto della concessione governativa è l’estrazione del primordiale bene naturale, il sale,  fondamentale per destinazioni industriali, artigianali ed alimentari. Il Demanio è proprietario, imprese private sono gestori autorizzati, ma la assenza da anni di un piano industriale nazionale,  non ha  colto l’importanza distrettuale e integrato del sale per offrire opportunità, nuovi posti e imprese, diversificazione  facendo squadra e sistema. Le saline sono viste molto come prodotto da raccogliere e commercializzare per volumi, quantità, spesso con una filiera di vendita lunga con molti rincari, spesso eliminabili. Poi ci sono eccezioni e localmente è successo qualcosa e ci sono delle azioni condivise di valorizzazione territoriale. Ma occorre un cambio di passo. Il Governo può fare molto con Regioni e comuni”.

Il tema è saltato fuori soprattutto dalla cronaca estiva di quest’anno con la messa all’asta dei crediti di Monte dei Paschi, diventata banca pubblica, richiamata a definire meglio gli asset bancari e a recuperare fondi.

In particolare si parla di una salina, quella di Margherita di Savoia in Puglia, fra Foggia e Bari, sul mare affacciata al golfo di Manfredonia che ha per sfondo il Gargano con il suo parco, un tavoliere dell’alto salentino ricco di enogastronomia e di storia anche d’Italia, dei porti di attracco importanti per il basso Adriatico, di un valore aggiunto dato dalle attività ittiche e di pesca che devono essere migliorate e integrate, di un potenziale termale-acque salutari inespresso da proporre nei canali turistici e sicuramente di parchi e riserve naturali come la zona Sic-Zps di 4000 ettari che compongono la salina di Margherita, la più grande d’Europa, con 500 ettari di vasche salanti produttive.

Stando sempre alle voci di stampa e dei bene informati, tutto questo giacimento e patrimonio dello Stato, è in procinto di entrare nell’orbita della Salins spa, la più grande azienda del sale francese attraverso la controllata Cis già presente nel Veneto.

Normale amministrazione se si pensa ad una asta e a un vincitore con la quotazione più alta del credito degli attuali gestori, ma nello stesso tempo anche una questione di opportunità, di scelte strategiche, di risposta Paese a un prodotto naturale, originario del mare Adriatico, di produzione sul suolo italiano, ma poi venduto al mercato e nei supermercati con marchio francese, per la quota alimentare, a volte anche senza quella ricercatezza, tracciabilità, certificazione che anche il sale, come il vino, l’aceto, il formaggio, può ambire.

Un patrimonio nazionale – sostiene Comolli – che può avere sbocchi, interessi, creare imprese nel mondo della cosmesi, della medicina, dei coadiuvanti, della sanificazione e della conservazione dei cibi, oltre che al normale ma di alto valore aggiunto e pregio nei ristoranti stellati e più noti nel mondo. Oggi uno spazio occupato da imprese londinesi con il sale Maldon o himalaiane con il sale rosa. Senza il sale marino non avremmo storie di arte culinaria da raccontare come quella dello stoccafisso, della saracca, del carpione, del baccalà, delle acciughe e senza il sale di terra o salgemma come quello prodotto a Volterra o a Salsomaggiore non avremmo il culatello di Zibello, il Parmigiano, il lardo di Colonnata, la coppa di Piacenza, il Grana Padano, la carne salada e tutti le conserve in salamoia, come olive, pomodori, cetrioli, cipolle. Tutti alimenti che per il contatto o il contenuto di iodio, magnesio, sodio, potassio, zolfo nelle giuste quantità diventano salutari, coadiuvanti terapeutici, esponenti importanti nella dieta mediterranea riconosciuta dall’Unesco come patrimonio intellettuale del mondo. Per questo il sale non deve essere trattato come una commodities, ma come una componente alimentare”.

Forse, questo è l’aspetto più positivo,  una revisione di rapporti economici e societari, crediti e debiti fra banche e gestori, crisi di diverse società di saline del Sud Italia, potrebbe tornare molto utile per una nuova impostazione di tutto il sistema delle concessioni e/o della gestione diretta, ma pur sempre con una nuova visione in cui determinati beni strategici per il BelPaese (NB: e tutto quello che ruota attorno all’agroalimentare e alla enogastronomia dovrebbe essere strategico per l’Italia!) non dovrebbero essere alienati o ceduti con facilità, con modelli solo finanziari, con uno sguardo rivolto solo al business privato.

Una proprietà pubblica, una proprietà collettiva degli italiani…è come vendere un pezzo d’Italia anche solo temporaneamente. Il mass market del sale fa bilancio ma è marginale rispetto al valore aggiunto e ai benefici sociali ed economici che possono nascere nel SudItalia, senza assistenzialismo ma con sviluppo imprenditoriale, grazie a un grande piano strategico imprenditoriale di Distretto Produttivo che ruota a 360° attorno al brand “sale del sud”.

 

Redazione Newsfood.com

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