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“Prodotti a marchio IGP” ufficialmente difendono il MADE IN ITALY…..ma in pratica non è vero!

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Inizio messaggio inoltrato:

Da: “alfredo clerici”
Data: 11 agosto 2010 16:10:58 GMT+02:00
Oggetto: Re: “IGP” ufficialmente difendono il MADE IN ITALY…..ma in pratica non e’ vero.

Si tratta di un tipico esempio di disinformazione pilotata: le vittime, come sempre, sono i consumatori.
Innanzitutto occorre ricordare quanto prescritto dal recente DDL 135/09 (convertito in legge dalla 166/09), di cui newsfood si è occupato in:

Il Made in Italy è legge! Nel citato DDL si legge, tra l’altro:

Art. 16. Made in Italy e prodotti interamente italiani
1. Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano.

2. Con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, per le politiche europee e per la semplificazione normativa, possono essere definite le modalità di applicazione del comma 1 

4. Chiunque fa uso di un’indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, e’ punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall’articolo 517 del codice penale, aumentate di un terzo.

Come  si può notare, quindi: disegno,  progettazione,  lavorazione e confezionamento,  ma NON materia prima.
Questo spiega come mai da tempo c’è chi si batte (MIPAAF in testa) per rendere obbligatoria l’indicazione d’origine delle materie prime in etichetta.

La cosa curiosa è che lo stesso Ministero è l’autore dei disciplinari di cui parla il nostro lettore (bresaola della Valtellina IGP, mortadella Bologna IGP, ma anche cotechino e zampone Modena IGP, speck dell’Alto Adige IGP,…).

Il fatto che, poi, le carni utilizzate possano essere non solo non provenienti dalla zona geografica indicata, ma addirittura non Made in Italy e che ciò abbia o meno influenza sulla qualità del prodotto finito, è fonte di ampia discussione.

Newsfood si è ampiamente occupato dell’argomento (es. Origine degli alimenti in etichetta, rintracciabilità, sicurezza dei consumatori). L’articolo così si conclude:

Vi è però un altro argomento portato dai sostenitori dell’indicazione d’origine in etichetta: quello della tutela dei prodotti nazionali.

Il ragionamento parrebbe questo:
  1. il consumatore italiano preferisce prodotti italiani, fabbricati con materie prime italiane, ma se non c’è una legge che impone di indicarne l’origine, difficilmente l’industria lo farà e quindi, al consumatore italiano, non potendo individuare l’origine, viene impedita una scelta consapevole, ecc. ecc.

Ammettiamo pure che il punto a) sia vero (se non altro per spirito patriottico…):

il problema non è questo.

Qualcuno si sente di affermare che, prescindendo da ogni altro fattore, un prodotto fabbricato con materie prime italiane sarà sempre migliore di uno
fabbricato con materie prime straniere?

Noi no.
E non è forse vero che un’industria seria e competente riuscirà ad ottenere prodotti accettabili anche partendo da materie prime non eccellenti, mentre un’industria mediocre (o peggio) non potrà che ottenere prodotti mediocri (o peggio), anche partendo da buone materie prime, indipendentemente dall’origine delle materie prime stesse?

Secondo noi, sì.
Su questo argomento si è espressa Federalimentare:

“Introdurre l’obbligo di indicare nelle etichette l’origine dei prodotti e dei relativi ingredienti – secondo la Federazione aderente a Confindustria – non
aggiungerebbe nulla in fatto di sicurezza degli alimenti, snaturerebbe il concetto stesso di “made in Italy” alimentare, che si basa non tanto sull’origine delle materie prime impiegate, quanto sulla “ricetta”, sulla capacità di lavorazione, sulla cultura della produzione di qualità e farebbe lievitare i costi di produzione, per la continua modifica delle etichette, con inevitabili riflessi negativi sui consumatori.”

Certo, se fossimo produttori di materie prime italiane (es. allevatori, agricoltori, ecc.) o anche Associazioni che hanno il compito di tutelarne gli interessi,
le ragioni per richiedere l’indicazione obbligatoria dell’origine in etichetta le avremmo, e ben chiare.

Ma questa, come direbbe Lucarelli, è un’altra storia.

Dott. Alfredo Clerici
Tecnologo Alimentare

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