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L'evoluzione delle abitudini alimentari degli italiani

By Redazione

L’Accademia Italiana della Cucina, da oltre mezzo secolo impegnata nell’analisi sul campo dell’evoluzione culinaria del Paese ha commissionato al Censis la ricerca”L’evoluzione delle tradizioni
alimentari degli italiani tra nuove tendenze e solide tradizioni”, lo studio approfondisce il legame tra l’evoluzione degli stili alimentari degli italiani e la cultura gastronomica del Paese
nelle sue diverse manifestazioni.

Scopriamo che gli italiani sono “tradizionalisti”, essendo ultimi in Europa nella classifica del cambiamento di stili alimentari (15% contro il 22% dei consumatori europei). Stanno riscoprendo
il piacere della prima colazione ( 11,7 % nel periodo 1995-2005) e amano sempre più la cena (il 21,9% degli italiani la considera il pasto principale, 3,4% rispetto al 1995). Cresce
l’abitudine dei fuori pasto (il 40 % degli italiani è solito fare uno spuntino mattutino e/o pomeridiano) e aumenta il consumo di cibi pronti . Vero e proprio boom per la divulgazione
della cultura gastronomica: 51 programmi televisivi, 209 periodici, 1.015 siti internet dedicati a cibo, vino e turismo gastronomico.

“L’evoluzione delle abitudini alimentari degli italiani tra nuove tendenze e solide tradizioni”: è questo il titolo della ricerca commissionata dall’Accademia Italiana della Cucina al
Censis e presentata il 16 novembre a Parma in occasione dei festeggiamenti per i cinquant’anni della delegazione locale dell’AIC.

ITALIANI “TRADIZIONALISTI”, MA NON INDIFFERENTI AI MUTAMENTI DEI COSTUMI ALIMENTARI – Mentre il 22% dei consumatori europei (con alcune punte del 30-40% nel nord Europa) dichiara di aver
cambiato di recente il proprio stile alimentare gli italiani, risultano essere i più “tradizionalisti” d’Europa, collocandosi all’ultimo posto in questa particolare graduatoria con un
valore del 15% (in testa la Svezia con il 43%, seguita da Danimarca e Paesi Bassi con il 31%). Non siamo comunque un paese del tutto immobile e dati Istat alla mano, notiamo che si assiste al
progressivo cambiamento di consolidate abitudini alimentari (si pensi, ad esempio, alla diminuzione del consumo giornaliero di pasta) o all’introduzione di nuovi alimenti proteici (i prodotti
ittici). Si registra un aumento dell’11,7% nel periodo 1995-2005 sull’abitudine degli italiani di fare una prima colazione adeguata, in cui, cioè, non si assumono solo te o caffè
ma si beve latte e si mangia qualcosa (il 78,5% degli italiani, più frequentemente le donne, i bambini tra i 3 e i 10 anni e gli over 65). Aumenta l’abitudine dei “fuori pasto” (il 40%
degli italiani dichiara di fare abitualmente uno spuntino a metà mattina e/o a metà pomeriggio), come significativa testimonianza della trasformazione subita dalla tradizionale
giornata “alimentare”. Per il 70,2% degli italiani il pranzo rimane il pasto principale della giornata ma diminuisce il suo potere di aggregazione in favore della cura di interessi personali
(shopping, fitness, frequentazione della rete internet, ecc.). Aumenta inoltre la percentuale degli italiani (21,9%) che considerano la cena il pasto principale della giornata ( 3,4% rispetto
al 1995). I nostri concittadini continuano ad amare i cibi in grado di coniugare alimentazione e salute: negli ultimi due anni per esaudire le richieste dei consumatori sono stati riformulati
oltre 4000 prodotti riducendo o eliminando grassi saturi, colesterolo, sale, acidi grassi.
Dalla ricerca emerge che il 24% del fatturato complessivo dell’industria alimentare proviene da prodotti innovativi, in particolare cibi pronti (verdure in busta, sughi pronti, oli
aromatizzati, condimenti freschi, surgelati, ecc?). Gli alimenti classici della tradizione italiana assicurano il 66% del totale del fatturato. Il restante 10% è coperto dai prodotti
tipici e dal biologico. Infine il 17% dei consumatori dichiara di acquistare “alimenti funzionali”, il cui mercato italiano si aggira sui 700 milioni di euro (l’Europa si assesta a 5,7 miliardi
di euro).
In generale, il consumatore italiano dimostra di aver sviluppato un atteggiamento di equilibrio tra la qualità minima richiesta e le risorse familiari destinabili all’alimentazione. Ma
se qualità e prezzo dei beni corrispondono ai primi due fattori di scelta dei consumatori (rispettivamente per il 39% e il 32%), un ruolo non secondario viene giocato dall’impressione di
freschezza di ciò che si acquista (20%) e dalla sicurezza alimentare dei prodotti (16%). Il sapore viene collocato al 5°posto (14%) seguito dalla salubrità del cibo (12%).
Alcuni segnalano le abitudini e le preferenze alimentari (10% e 11%), mentre una percentuale minore va alla marca, al metodo di produzione ed al paese d’origine (7% ciascuno).

QUALE È OGGI IL RAPPORTO DEGLI ITALIANI CON LA SPESA ALIMENTARE – Nel 1975 il consumo alimentare assorbiva il 34,4% delle spese delle famiglie. Oggi, a fronte delle risorse da
destinare alla casa (affitti,mutui, manutenzione, fiscalità),ai trasporti (spostamenti quotidiani, week-end, viaggi e vacanze), ai servizi in genere (sanità, istruzione,
comunicazione, cultura e tempo libero) l’incidenza della spesa alimentare è scesa al 18,9% (Istat) e addirittura sotto il 15% se non si considerano le bevande alcoliche
(Eurostat2006).
Dalla ricerca emerge come negli ultimi anni le famiglie italiane sono state esposte ad alcuni processi che hanno modificato il loro rapporto con l’alimentazione. Tra i fenomeni più
significativi evidenziati dallo studio l’oggettiva riduzione della quota di reddito familiare disponibile per l’alimentazione e la destrutturazione dei tempi di vita familiare con conseguenze
sul fronte dei consumi alimentari e della dimensione conviviale. Ma non solo. Hanno avuto un peso rilevante nel mutamento dei costumi alimentari anche i processi di globalizzazione, l’insorgere
di alcune paure alimentari legate ad eventi mediatici (es. la Bse) e infine la deriva salutista, che ha promosso la tendenza della “medicalizzazione dell’alimentazione”.
Stretti tra svariate suggestioni gastronomiche e l’esigenza di far quadrare il bilancio familiare, i consumatori hanno adottato comportamenti caratterizzati da un mix di razionalità,
equilibrio e curiosità. Come la stabilizzazione (da qualche anno) della quota di reddito da destinare all’alimentazione (sotto una certa soglia si cerca di non scendere) e una maggiore
consapevolezza e razionalità (meno cibo ma di migliore qualità, selezione e articolazione dei distributori, richiesta di garanzie, fedeltà ai marchi più noti,
accesso alle fonti informative). Inoltre il ricorso ad alcune tipologie di cibi pronti (es. verdure lavate e tagliate) ha permesso di ottimizzare tempi di vita e tempi di lavoro. Se la dieta
mediterranea si conferma la sintesi perfetta di gusto, salute, e costi contenuti lo studio evidenzia la sperimentazione di nuovi prodotti e cibi etnici (pesce crudo, frutta esotica, ecc.) e la
capacità di dare valore aggiunto all’alimentazione attraverso l’atto di cucinare.

L’ATTENZIONE DEGLI ITALIANI PER LA DIMENSIONE ALIMENTARE E GASTRONOMICA – È innegabile che il successo del settore alimentare italiano sia in parte riconducibile ad un insieme di
considerazioni che attengono agli aspetti culturali e relazionali dello stile alimentare italiano, della sua storia antica e della sua evoluzione recente. Infatti, a differenza di quello che
è successo in altri paesi, in Italia l’industrializzazione della produzione alimentare non si è sovrapposta alla cultura preesistente inventando e “imponendo” nuovi prodotti, ma
si è inserita nella cultura dell’alimentazione tradizionale.
E proprio sul fronte della cultura gastronomica negli ultimi anni si è registrato uno straordinario aumento di interesse degli italiani. Da una parte si è assistito in pochi anni
ad una proliferazione della normativa di riferimento (898 tra leggi, regolamenti e direttive a livello comunitario nazionale e regionale dedicate alla materia alimentare), dei consorzi di
tutela (269 consorzi per la tutela e la valorizzazione del vino, 358 associazioni impegnate nell’universo della gastronomia), dei centri di ricerca (70 istituti ed enti impegnati nella ricerca
scientifica), delle opportunità formative (ben 442 le scuole di gastronomia pubbliche e private che propongono corsi di diversa durata) e del turismo (139 strade del vino e dei sapori,
123 musei dedicati al vino e alla cucina, 2.684 sagre a carattere gastronomico, 160 premi gastronomici.).
Dall’altra si è registrato un vero e proprio boom sul terreno della divulgazione tematica: 51 programmi televisivi, 259 periodici, 620 opere di cucina e ricettari vari pubblicati solo
nel 2005, 1015 siti internet dedicati a vino, cibo e turismo enogastronomico, con un incremento del 70% della tiratura dei mensili specializzati su temi gastronomici.

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