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Italia più brutta: meno negozi, laboratori, botteghe artigiane

Italia più brutta: meno negozi, laboratori, botteghe artigiane

By Giuseppe

Achille Colombo Clerici presidente A s s o e d i l i z i a
L’attrattivita’ delle citta’ italiane, dalle quali è legittimo attendersi molto  in termini economici e di lavoro, e’ legata anche alla varieta’ ed alla ricchezza dell’offerta artigianale.

Le piccole e piccolissime imprese – negozi, laboratori, botteghe di artigianato – rappresentano non solo il più importante settore di produzione e occupazione della Lombardia e del Paese, ma anche il mezzo di mantenimento di una tradizione di mestieri trasmessi da padre a figlio, da anziano a giovane,  e quindi di cultura, fonte di fascino e di attrattività per il turismo, soprattutto per gli stranieri.

Non credo che i milioni di visitatori attesi per Expo esauriranno il loro interesse con la visita agli orti e facendo il giro in barca sulla, ridotta, via d’acqua. Intenderanno soprattutto ammirare l’enorme patrimonio artistico-museale-monumentale del nostro Paese e accorrere nei punti vendita della produzione artigianale, dalla moda agli alimenti,  disseminati nei cento e cento negozi delle nostre città, che ancora resistono alla macchina stritolatrice dei super e degli ipermercati.

E’ quindi nell’interesse generale opporsi a un sistema normativo-burocratico ottuso che penalizza le piccole imprese e non favorisce l’attività artigianal-commerciale legata alla logica dell’economia della famiglia. Questa è una battaglia intrapresa da Carlo Sangalli, presidente dell’ Unione del Commercio di Milano, una delle più importanti d’Europa, che mi trova totalmente d’accordo: contro le miriadi di permessi necessari per aprire un’attività commerciale, le innumerevoli norme e scadenze da rispettare,  gli interventi assurdamente penalizzanti  del sistema tributario del quale, se pure è accettabile ed anzi auspicabile un sempre maggior impegno contro l’evasione, diventa difficile capire certe logiche.

Ma non solo.

Si registra una crisi in particolare per i settori ristorazione, moda e turismo: nel 2013 si e’ avuto un saldo negativo di 30.000 esercizi, con la perdita di almeno 90mila posti di lavoro. Per crearsi un posto di lavoro i giovani diventano imprenditori, però durano poco: dopo 3 anni si e’ chiuso il 30% delle imprese nel commercio, il 40% nel turismo. Secondo l’Istat, nel 2013 la riduzione delle vendite a valore è stata la più grave da quando è disponibile l’indice. Considerando i dati al netto dell’inflazione, per quanto riguarda i consumi commercializzabili, il 2013 appare negativo almeno quanto il 2012, che fu l’anno del record storico del crollo dei consumi nel Paese.

E’ assolutamente prioritario intraprendere un’azione di riduzione del carico fiscale sulle piccole imprese utilizzando una frazione rilevante delle risorse derivanti tanto dalla lotta all’evasione, quanto dalla riduzione dei costi e degli sprechi nella  amministrazione della cosa pubblica.

Redazione Newsfood.com

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