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Fini: «il nostro candidato è Berlusconi»

Presidente Fini, il tentativo di Franco Marini di comporre un governo è ufficialmente iniziato, cosa dirà al presidente del Senato? «Andremo da Marini per
il rispetto doveroso verso la seconda carica dello Stato, ma l’ipotesi di un governicchio è insussistente, nelle condizioni in cui si trova il Paese non si può pensare di mettere
in piedi un esecutivo a termine con una maggioranza raccogliticcia».

Marini si presterebbe a guidare un governo sul filo dei numeri?
«No. Sono sicuro che prenderà atto che non ci sono le condizioni per fare una legge
elettorale. Salirà al Quirinale, rimetterà il mandato e il presidente della Repubblica scioglierà le Camere. D’altra parte gli italiani non sono certo turbati dalla
necessità di avere una nuova legge elettorale».

Veramente politici e commentatori presentano questa riforma come una assoluta urgenza per il Paese.
«Le assicuro che quando la gente mi incontra per strada non mi chiede
certo una legge elettorale ma di risolvere problemi concreti. Discutere oggi di legge elettorale significa non avere a cuore i problemi degli italiani, ma occuparsi di una questione che
riguarda solo noi politici».

Teme un’ondata di indignazione popolare?
«Io sono sereno perché il presidente Marini è tutt’altro che un incosciente. Io voglio solo dire che chi cerca
di tirarla per le lunghe rischia di alimentare il disgusto verso la casta e un clima di ostilità verso la politica».

Calderoli annuncia che la Lega non andrà alle consultazioni.
«Non condivido. Credo sia soltanto un’accentuazione propagandistica. Comunque stiamo parlando del nulla:
io sono convinto che tra qualche giorno calerà il sipario e si fisserà la data delle elezioni».

Quando si va a votare?
«Non sta a me deciderlo, ma direi il 6 o il 13 aprile».

D’Alema sembrerebbe intenzionato a tentare la carta del referendum prima del voto. Cosa ne pensa?
«Mi sembra una posizione paradossale. Fino a qualche settimana fa diceva
che era una iattura e ora, pur di non andare al voto, arriva a ipotizzare di farlo svolgere subito. Ma è tutto il centrosinistra a essere in confusione. Assomiglia a una famiglia che per
18 mesi discute su quale nuova auto acquistare e non trova mai l’accordo. Poi gli arriva lo sfratto esecutivo e fa finta di niente, continuando a pensare all’auto nuova».

La Cdl può ritrovare la spinta propulsiva di un tempo?
«Sì, a condizione di puntare sulla limpidezza. Non servono cento ma quindici-venti proposte già
pronte come articolati dei disegni di legge. Non serve neppure impostare tutta una campagna sui disastri di Prodi che sono sotto gli occhi di tutti».

Quali saranno le priorità del nuovo programma?
«Ne indico tre. Innanzitutto togliere ai partiti i poteri di lottizzazione sulla sanità e sui trasporti. Qui
c’è una questione morale che sta tornando e siamo di fronte a una presenza invasiva della partitocrazia. Poi bisogna lavorare sulla certezza della pena, aumentando l’attenzione sulla
vittima piuttosto che sul reo, abolendo i benefici della Gozzini per i recidivi. Terzo, combattere l’emergenza sociale dei salari, ad esempio attraverso l’introduzione del reddito
familiare».

Si vedrà presto con i leader per lavorare sul programma?
«Certamente. An si stava già muovendo per la conferenza programmatica. Quelle proposte ora
diventeranno operative. Inoltre rilancerò una posizione di Sarkozy: niente più sanatorie in Europa, e quindi anche in Italia, per gli immigrati clandestini».

A proposito di Sarkozy, pensate davvero di accogliere nel governo personalità dell’altro schieramento?
«Quella è una soluzione possibile nel sistema francese.
Il presidenzialismo accende un rapporto diretto con la nazione. Da noi è più difficile».

Come si può fare per non ricadere nella conflittualità della scorsa avventura di governo?
«L’esperienza ci insegnerà qualcosa. Bisogna innanzitutto
garantire la qualità della squadra di governo, uscendo dal manuale Cencelli. La squadra dovrà essere composta da dodici ministri e massimo 60 sottosegretari. L’importante, poi,
è che non inizi un attimo dopo la formazione del governo la corsa a differenziarsi. Qui si vince e si perde tutti quanti insieme».

Riproporrete la formula delle tre punte?
«No, l’idea del tridente va archiviata. Ci saranno due candidati premier, Berlusconi e Veltroni – o forse tre o quattro con
Bertinotti e uno velleitario della Cosa Bianca – e non avrà senso ripetere quello schema. Bisogna scendere in campo uniti».

Come si affronta Veltroni in campagna elettorale?
«Lui lancerà, come al solito, messaggi immaginifici e kennediani. Punterà sull’italian dream e sulle sue
suggestioni. Ma noi dovremo riportarlo alla realtà, ad esempio quella di una città come Roma: un modello di cui non si può certo andare fieri».

L’antiberlusconismo sarà ancora uno degli ingredienti del match?
«L’antiberlusconismo resta ancora il loro unico cemento».

Con Berlusconi negli ultimi mesi non ve le siete certo mandate a dire.
Lavorerete per far ripartire il rapporto personale?
«Ci siamo parlati con franchezza
e senza infingimenti. Ma se le divisioni non sono animate da personalismi scompaiono nel momento in cui non hanno più ragione di essere. Sarebbe autolesionista e irresponsabile non
guardare avanti».

Si fida del rientro di Casini nella Cdl?
«Sì. Ha preso atto che la situazione è cambiata. E, conoscendolo, non ho mai pensato che potesse allearsi con il
centrosinistra».

C’è chi dice che Montezemolo potrebbe essere tentato da una discesa in campo.
«Lo escludo. Sicuramente ha voglia di dare un contributo ma non
direttamente».

Mastella può entrare nella coalizione?
«Può entrare chiunque sposi davvero i nostri punti programmatici».

Baccini e la Rosa Bianca. C’è spazio per un terzo polo?
«Più che una rosa bianca credo che sarà un crisantemo. Con tutto il rispetto non credo che
l’Italia abbia bisogno dell’ennesimo partitino dello zero virgola per cento».

Farà il presidente della Camera o il sindaco di Roma?
«Non mi sembra serio parlarne. Ora dobbiamo pensare a vincere. Siamo pronti per questo secondo appuntamento. Se
dovessimo fallire gli italiani non ce lo perdonerebbero».

Mercoledì a Parigi lei ha ricevuto un’accoglienza affettuosa da Sarkozy, la Merkel e altri leader europei. Per l’ingresso di An nel Ppe siamo davvero alla stretta
finale?
«I due anni in cui mi sono occupato della Costituzione europea e il mandato alla Farnesina hanno dimostrato con i fatti che An ha valori affini a quelli del Ppe che
non è l’Internazionale democristiana ma è il rassemblement dei moderati».

Ma quando si consumerà l’ingresso nella famiglia dei Popolari?
«Dopo le Europee del 2009, dopo un percorso lungo perché serio. Anzi, se lei mi permette, vorrei
dedicare la giornata che ho vissuto a Parigi a un uomo che era il migliore di tutti noi e che ha contribuito più di ogni altro alla crescita del nostro partito: Pinuccio Tatarella. Non
dimenticherò mai la mortificazione che subì quando il viceprimo ministro belga si rifiutò di stringergli la mano in quanto «neofascista». Quanta acqua è
passata sotto i ponti da allora».

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