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Crisi economica, Sacconi: “Lavorare anche meno, pur di lavorare tutti”

By Redazione

 

“Lavorare anche meno, pur di lavorare tutti”. È lo slogan con cui Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro, intervistato questa mattina dal quotidiano “la Repubblica sintetizza il
piano del governo per salvare i posti di lavoro messi a rischio dalla crisi. “Serve un accordo di straordinaria e leale collaborazione con le Regioni e poi con le parti sociali: un
patto per proteggere le persone”.

Ma allora seguirete davvero la strada della settimana corta indicata dal Cancelliere tedesco, Angela Merkel?
“A differenza della Germania noi abbiamo già un robusto sistema di ammortizzatori sociali che ci consente di spalmare un minor carico di lavoro su più persone. Questa
è la funzione della cassa integrazione a rotazione e non a zero ore, e della stessa cassa integrazione ordinaria”.

Vuol dire che una persona potrebbe lavorare quattro giorni e gli altri due restare in cassa integrazione?
“Sì: si può andare in cassa integrazione per una parte della settimana e lavorare per la restante. Ma penso anche ai contratti di solidarietà”.

I contratti di solidarietà, però, non hanno mai avuto successo. E poi non si deve anche dire che le retribuzioni saranno più basse?
“Vuole dire anche meno salario ma non dimentichiamoci che ci sarà l’integrazione del sostegno al reddito. Alla fine la perdita sarà minima. Quanto ai contratti di
solidarietà è andata un po’ come dice lei perché nel passato sono stati utilizzati solo quando per l’azienda non c’era alternativa al ridimensionamento. Vogliamo
evitare esattamente questo. Per farlo si deve ancorare il lavoro alle imprese”.

Come pensate di farlo quando tutte le imprese stanno tagliando i costi, compreso quello del personale?
“Dobbiamo evitare di dare vita a un sistema di self service per la
cassa integrazione che non può trasformarsi in un rubinetto sempre aperto. In questo modo l’azienda diventa “irresponsabile” e al primo segnale di crisi fugge dalle proprie
responsabilità e taglia anche il suo capitale umano che, invece, è il patrimonio fondamentale per rilanciarsi. Questo sarà il tema centrale del G14 che terremo a
Roma il 29 marzo perché si deve guardare alla dimensione umana della crisi non solo agli aspetti finanziari”.

Sta dicendo che le imprese approfittano della crisi?
“Dico che non possono rinunciare a fare tutto il possibile per non perdere l’asset fondamentale del capitale umano”.

Per questo il presidente Berlusconi ha detto che verrà istituita un’Authority che vigilerà sulla concessione della cassa integrazione?
“Stiamo pensando a un’unità di crisi del ministero del Lavoro collegata, per la parte di sua competenza, con il dicastero dello Sviluppo economico. Il nostro obiettivo, ripeto,
è quello di ancorare le persone alla dimensione produttiva. Per farlo serve un accordo di straordinaria e leale collaborazione con le Regioni e poi con le parti sociali: un patto
per proteggere le persone”.

Perché anche con le Regioni?
“Perché le Regioni dispongono di importanti fondi europei, compreso il Fondo sociale. In secondo luogo hanno competenza sulla formazione. E guai a noi se in una stagione
così straordinaria bruciassimo, come spesso purtroppo è accaduto, queste risorse per fare la festa dei formatori. Dunque quel patto è fondamentale per filtrare le
richieste per la cassa integrazione e per condividere i costi, perché servono tanti soldi”.

Lei descrive un’economia di guerra a dispetto dell’ottimismo di Berlusconi.
“Io credo che si debba attraversare un tunnel da cui potremmo uscire più robusti e
soprattutto con le persone più “occupabili”, come dice l’Europa. Guardi che io condivido l’ottimismo del premier circa la possibilità di uscire presto dalla crisi. La
penso come Berlusconi: non ho mai conosciuto un pessimista che abbia avuto successo. Per questo diciamo agli imprenditori di non scappare perché la crisi può durare poco”.

Parlava di tanti soldi per gli ammortizzatori sociali. Quanti miliardi serviranno?
“È difficile dirlo. Ne servono molti se vogliano insistere sulla formazione che, anzi, deve essere la chiave per non perdere il contatto con il lavoro. Ogni persona che
riceverà un sostegno al reddito dovrà avere una contemporanea possibilità di apprendimento”.

Quanti sono i posti a rischio? La Confindustria ne stima 600 mila, i sindacati circa un milione.
“Credo che sia giusto prendere in esame anche gli scenari peggiori ma le
imprese non devono dare l’idea che le prime difficoltà si traducano in una espulsione di manodopera”.

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