LA GIARDINIERA RITORNA DI MODA – PIATTO ANTICO DELLA PIANURA PADANA – VARIANTI MINIME DOVUTE AGLI ORTAGGI COLTIVATI
17 novembre 2019
TEMPO DI GIARDINIERA
UN TRIONFO DI ORTAGGI E VERDURE
“GIARDINIERA” ERA CHIAMATA ANCHE LA MAESTRA D’ASILO IN QUANTO INSEGNAVA ANCHE NEL CORTILE-GIARDINO DELLA SCUOLA
ASSAGGI IN LIBERTA’: PIEMONTESE, PIACENTINA, POLESANA, FERRARESE … ECCO LA PATRIA
UN CONTORNO DELLA CULTURA CASALINGA ANTICA CONTADINA IN TERRA PADANA
L’enciclopedia Treccani ci viene in aiuto, e conferma quello che la mia nonna, su indicazione di sua nonna, ha lasciato scritto nel libretto delle ricette di famiglia.
Fra aceto e nocino, c’è anche la “giardiniera”, ovvero quelle verdure dell’orto trattate in modo particolare e già ricercate in tempi antichi, seppur con tecniche diverse. Jardinière, in francese, è la donna addetta alla cura del giardino, mentre in italiano, nella cultura degli ultimi “scalchi” storici, era “la maestra d’asilo” che insegnava ai bimbi i primi rudimenti delle specie botaniche: la giardiniera come maestria e cura dell’orto!
Quindi il termine “giardiniera” ha soprattutto un significato culturale didattico e di salute dell’orto.
Un altro sinonimo del termine era quello dato alle mensole aperte della tipica “credenza” di cucina dove venivano appoggiati i vasi di verdure e ortaggi. Per giardiniera si intende il simbolo della conservazione del cibo, esempio di sostenibilità e non spreco degli alimenti, metodo di conservazione usato per salvare la materia prima dei campi in eccesso al raccolto, per rispettare e fermare la stagionalità del sole, consentire al cibo più fragile di durare nel tempo, dare da mangiare in periodi di carenza.
Columella parla di verdure “crude” in agrodolce, senza olio, con aceto e salamoia: ricetta poi seguita e perfezionata nelle corti monastiche e aristocratiche del Rinascimento.
Scrutando la bibliografia culinaria, mi ha portato a scoprire che la giardiniera rappresenta la storia della conservazione gastronomica piacentina, già in epoca longobarda e poi Medioevale, abbinando le pratiche di conservazione del pesce, carne, salumi, latte, castagne, farine. Un metodo in uso nei secoli X-XII° nei monasteri e conventi della pianura padana, piacentina e cremonese, ma anche mantovana, ferrarese e piemontese, riportato in diversi codici conservati in oratori, biblioteche, refettori.
E’ nel tardo Medioevo che nasce il termine “credenziere”, ovvero colui che era responsabile della cambusa di cucina di importanti aristocratici, cardinali e vescovi. In particolare la “giardiniera”, come la intendiamo noi oggi , era considerato uno degli alimenti più sani e salutari di tutto il Medioevo se di fattura perfetta.
La produzione era importantissima per i monaci benedettini e cistercensi: prima il lavaggio accurato delle verdure (qualcuno poi inserì anche diverse essenze di frutta… ma è la storia della mostarda) in acqua preventivamente bollita e acidificata, ben asciugate (scrivevano), lasciate appassire su canovacci non al sole per qualche giorno (perdevano consistenza e si ammorbidivano). Poi tagliate a pezzi piccoli, invasate e schiacciate, e coperte abbondantemente di acqua di salamoia, aceto di vino bianco con cannella, chiodi di garofano e foglie di alloro, un pizzico di zucchero.
Era il “dispensiere” del convento o monastero che decideva la composizione del liquido agrodolce di conservazione, quindi i vasi erano conservati al buio e al fresco in modo che calore e luce non intaccassero colori e sapori. I vasi erano chiusi con tappi di legno e stracci, quindi i vasi riempiti.
Fino al XVI-XVII° secolo non vi era altra sterilizzazione o creazione di sottovuoto: la colmatura e l’aceto dovevano conservare. Da qui una antica tradizione tramandata anche attraverso la scelta delle verdure e ortaggi, quindi colori diversi che differenziavano la “ricetta” piemontese da quella polesana o da quella piacentina-emiliana che interessava tutta l’area del fiume Po fra il pavese e il cremonese, il lodigiano e il parmense.
Oggi, nel piacentino, la antica tradizione vive ancora. Raccolta delle verdure sanissime e appena mature, ancora dure. Le verdure sono il sedano bianco, il fiore del cavolfiore, la carota, la “cornette” o fagiolino, il cipollotto borretano, la cipolla rossa, il “ravanello” e il pisello verde grande. Prima le verdure sono lavate benissimo, tagliate, lessate in acqua, aceto, vino bianco morbido (firma territoriale che non necessita aggiunta di zucchero), pizzico di sale e foglie di alloro, separatamente, perché hanno cotture diverse da 2 a 5 minuti massimo per le carote e cipollotti. Lasciate raffreddare sono poste nei vasi di vetro piccoli o grandi, annegate in olio di girasole oppure in olio di oliva. Esiste anche una versione in cui il liquido usato è un mix di olio di oliva e acqua di cottura filtrata e nuovamente acetificata.
Il segreto sta tutto nei “tempi” di bollitura e nelle proporzioni del liquido di conservazione perché determinano la gradienza del sapore che deve essere nell’ordine: dolce morbido iniziale poi un sentore di acido stuzzicante e infine la croccantezza saporita e salina.
Era amata da Giuseppe Verdi e Giovanni Guareschi: il primo abbinava la giardiniera con la spalla cotta e con i salumi della bassa, il secondo con il cotechino lessato. cotechino lessa.
In Piemonte la giardiniera è solitamente abbinata con le carni cotte di pennuti e coniglio; in Emilia si sposa a salumi, arrosti e lessi; in Friuli alla soppressa. Una variante che stravolge la tradizione, ma è piacevole a tavola, è sicuramente la versione “napoletana” con capperi, olive nere, acciughe e cavolfiore passato in padella
Giampietro Comolli
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