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Allarme alimentazione: trovati crostacei contaminati da microplastiche nel Mar Artico

Vista aerea base artica dirigibile Italia

Ricercatori Enea, Cnr e La Sapienza di Roma presenti nella stazione artica ‘Dirigibile Italia’, scoprono microplastiche in crostacei nel Mar Glaciale Artico

di Maurizio Ceccaioni
Foto: Cnr

Il nostro piccolo pianeta, a causa dei nostri stili di vita e l’indifferenza di tanti politici, sta diventando sempre più una pattumiera. Se non fossero bastate le denunce di Greenpeace e altre organizzazioni ambientaliste sui milioni di metri cubi di plastiche che hanno invaso non solo montagne un tempo incontaminate come l’Himalaya, ma principalmente i mari, e ritrovate negli stomaci di pesci, tartarughe marine, delfini e capodogli, delle microplastiche sono state ritrovate perfino nel comune sale da cucina, o in creature marine alla base della catena alimentare di molti pesci che poi mangiamo.
Grazie agli studi di un gruppo di ricercatori dell’Enea, Cnr e Università La Sapienza di Roma, si è scoperto che anche noi, attraverso l’alimentazione, ingeriamo le micidiali microplastiche, spesso piccolissime fibre provenienti dal lavaggio o il deterioramento di tessuti sintetici di uso comune come poliestere o polipropilene. A darne notizia l’Enea con una nota stampa, in cui dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, si suona l’allarme per le microplastiche nel Mar Glaciale Artico, finora considerato uno dei luoghi più incontaminati del pianeta.

La ricerca è stata fatta nell’ambito delle attività della base artica ‘Dirigibile Italia’ gestita dal Cnr. Si trova oltre il 78° parallelo nord e prende il nome dal famoso dirigibile protagonista della drammatica spedizione del 1928, del generale ed esploratore Umberto Nobile e del suo equipaggio.

Con l’uso di specifiche metodologie di colorazione e di spettroscopia infrarossa, si sono studiati campioni di Gammarus setosus, un piccolo crostaceo marino di circa 3 cm, alla base dell’alimentazione di diversi uccelli e pesci che vivono nell’area di fronte a Ny-Ålesund, nell’isola di Spitsbergen (la più grande dell’arcipelago delle Svalbard).

La maggior parte dei frammenti di microplastiche studiate è costituita da polimeri sintetici di vernici e rivestimenti antivegetativi, impermeabilizzanti e anticorrosivi utilizzati sia nelle imbarcazioni che nelle attrezzature da pesca. Nei piccoli crostacei sono state rinvenute in media 72,5 particelle di microplastica tra i 3 e i 370 micrometri (milionesimi di metro), la maggior parte delle quali inferiori a un trentesimo di millimetro (30 micrometri).

Entrata stazione artica dirigibile Italia

«Microplastiche scambiate per cibo possono arrivare all’apparato digerente degli animali, nei tessuti e poi nelle parti edibili dei pesci e, trattandosi di una specie molto abbondante (fino a 3000 individui al m2) il rischio di trasferimento delle microplastiche nella catena alimentare umane è rilevante», ricorda Valentina Iannilli, ricercatrice Enea del Laboratorio Biodiversità e Servizi ecosistemici-Centro Ricerche Casaccia.

«Questo studio realizzato con Cnr e La Sapienza, dimostra che le microplastiche hanno invaso anche le terre più a Nord del pianeta e sono in grado di penetrare ogni livello dell’ecosistema, con danni agli organismi e all’ambiente ancora poco compresi. L’utilizzo di bioindicatori come questo crostaceo è di grande importanza nel monitoraggio delle microplastiche, poiché può fornire un quadro molto più realistico della contaminazione e soprattutto indicare quanto questa contaminazione sia trasferita nella catena alimentare e possa potenzialmente arrivare anche a noi», conclude la ricercatrice Enea.

I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista ‘Environmental Research’ della piattaforma editoriale scientifica Science Direct (casa editrice Elsevier) e vanno ad avvalorare quelli di una ricerca pubblicata quattro mesi fa su Plos One, una rivista scientifica di San Francisco ad accesso libero gratuito, pubblicata da Public Library of Science (PLoS), una non profit nata per fare divulgazione scientifica. A produrla, un gruppo di scienziati cinesi e Usa, che nello studio hanno usato di 27 coppie nidificanti di pesci Medaka giapponesi (Oryzias latipes). Un pesce molto popolare in Giappone dal XVII secolo, che non supera i 4 cm e si trova nelle risaie, paludi e negli stagni di Giappone, Cina, Corea e Vietnam.

Cavie lasciate per 21 giorni in serbatoi d’acqua contenente alti livelli di microfibre, che nello studio in laboratorio hanno mostrato cambiamenti esogeni ed endogeni, come membrane fuse, produzione di muco nelle branchie e significativi cambiamenti delle cellule epiteliali che le rivestono, aneurismi, cambiamenti cellulari e compromissione dei sistemi endocrini.
Come a dire: A buon intenditor, poche parole…

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